Quello scatto vecchio di cent’anni

A partire da una foto d’epoca, la “scoperta” di una cappella in località Laiti, fra due masi abbandonati negli anni Sessanta. Il racconto di Luciana Fantini

Valle del Regnana, novembre – Questa è l’odissea di una Madonna, di una cappella, di una guarigione, di un maso e di una fotografia di famiglia. Colta al principio del Novecento, occhieggiava da una lapide nel cimitero di Bedollo. Gianni Zotta la notò un pomeriggio di ottobre del 2017. La famiglia di Nicolò Casagranda era in posa davanti a una cappella bianca. Che ci faceva, si domandò il nostro attento fotoreporter, uno scatto vecchio di cent’anni su una tomba all’apparenza recente?

Sotto il nome del defunto – Pietro Casagranda – c’era un soprannome: “Laiti”.

Chi erano, perché quell’immagine, inconsueta, sulla lapide di una cimitero? Luciana Fantini ha 52 anni, lavora alla Famiglia Cooperativa di Brusago. Nel 1986 fu colpita da Aplasia midollare (il dato è sensibile, ma ha chiesto lei di renderlo noto), una malattia del midollo osseo con conseguenze simili alla leucemia. Ricoverata a Pesaro, fu sottoposta dal prof. Guido Lucarelli al trapianto di midollo (ricevuto da un fratello).

Qualche tempo prima, Luciana aveva accompagnato sua mamma, Rosina, fino alle Laite, un maso sul fondovalle valle del rio Regnana, verso Segonzano. Le abitazioni erano cadenti, la cappella in rovina. Qui erano vissute due famiglie Casagranda. Il maso fu abbandonato al principio degli anni Sessanta del secolo scorso. Erano rimasti i muri perimetrali di due fabbricati e una cappella che fu ricostruita nel 1885. Un precedente manufatto, del principio del XIX secolo, fu devastato dall’alluvione del 1882. In quel frangente, nel fango che aveva trascinato a valle la cappella, erano stati recuperati il quadro originale dell’Addolorata, due candelabri d’argento e la campanella di bronzo. La devozione poteva continuare.

Spostata di qualche decina di metri, in prossimità dell’abitazione, la cappella fu ricostruita. L’abbandono del maso a metà degli anni Sessanta, causò pian piano anche il degrado dei campi. Vi si coltivavano orzo e patate, cavoli e fagioli. C’era pure una vigna che dava un vinello aspro. L’erba dei prati finiva nella stalla dove muggivano due vacche. Restò la cappella, a vigilare sulle Laite. E restava una fotografia di famiglia. Quella della lapide.

Ogni tanto, forse per la nostalgia, Nicoletto Casagranda (che morì nel 1989) e sua moglie, Maria Ambrosi (morta nel 1995) scendevano alle Laite. Nel corso di una di queste escursioni, notarono che il campaniletto a vela della cappella era senza campana. La porta, spalancata, risultava forzata. Sconcertati, i due anziani coniugi, scoprirono che i ladri avevano portato via campana, quadro della Madonna, candelabri e scardinato la cassetta delle elemosine.

Dietro al maso c’era una scala a pioli. Sulla scala, un tralcio di vite diede all’uomo l’idea che i ladri erano passati dalla vigna. Si guardò attorno, fece qualche passo, e scoprì la refurtiva, nascosta sotto un muro, pronta per essere recuperata. Forse quella stessa sera.    

Scampate all’alluvione e ai ladri le suppellettili sacre furono trasferite a Bedollo.

Anni dopo, nella primavera del 1986, Luciana e Rosina avevano trovato la cappella della Madonna Addolorata con il tetto afflosciato, come un rudere.

“Ne sen dite: me sa strano che sto capitèl e sta Madona le se lassia portàr via cossì”.

Sul letto di ospedale, nei lunghi mesi della cura e della convalescenza, Luciana Fantini aveva maturato l’idea di far restaurare la cappella delle Laite. Sempre che fosse tornata a casa guarita. È ciò che è accaduto.

Nella cappellina, lungo l’antico sentiero che si inerpica verso Quaràs e Bedollo, vien detta Messa una volta l’anno, a metà settembre, per l’Addolorata. Nel luglio del 1965 si fece festa per la Prima Messa del comboniano di Segonzano, padre Mario Benedetti, oggi missionario in Sud Sudan. Sua mamma, infatti, era nata alle Laite.

Alberto Folgheraiter
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