Testamento, perché no?

Una forma di sostegno al non profit ancora poco praticata in Italia. Un tabù che tre cooperative ben radicate in Trentino vogliono provare a infrangere

“Làscito. – Donazione fatta per testamento, legato: fare un l. alla chiesa, all’orfanotrofio”. Così recita il dizionario Treccani online. Piuttosto radicata nei Paesi del nord Europa, e in quelli anglosassoni in particolare, la cultura del testamento a favore delle organizzazioni che operano senza fini di lucro, in Italia stenta ancora a farsi strada. Eppure quella generosità, quella solidarietà che moltissimi sanno esprimere in vita, spendendosi in attività di volontariato che contribuiscono a costruire un mondo che sa farsi carico di chi fa più fatica piuttosto che prendersi cura di chi è malato, potrebbero benissimo trovare continuità anche dopo la nostra morte: con una donazione fatta in vita o, appunto, attraverso il testamento.

Tra le realtà del non profit c’è chi da qualche tempo ha cominciato a interrogarsi su come diffondere nel panorama italiano dei donatori, ma anche dei professionisti del settore, come notai e avvocati, la cultura del testamento, proponendosi di far maggiormente conoscere la possibilità di utilizzare quote del patrimonio (fatta salva la legittima, cioè la parte dell’eredità riservata per legge agli eredi) per il sostegno del Terzo settore.

Una riflessione in questo senso l’hanno avviata, da un anno a questa parte, tre realtà cooperative ben radicate in Trentino: Mandacarù, attiva nel commercio equo e solidale; La Rete, che opera nel campo della disabilità; Progetto ’92, che si occupa di accoglienza dei minori. Insieme alle cooperative Monteverde di Verona e “Pace e Sviluppo” di Treviso hanno intrapreso un percorso per capire come affiancare alle attuali forme di sostegno alle loro attività – il volontariato, il 5 per mille, le donazioni – anche la promozione della scelta del dono all’interno del testamento. Individuando anche i profili dei potenziali donatori: l’imprenditore che ha sempre investito bene i suoi soldi e considera il lascito un investimento; la persona che ritiene di aver ricevuto molto dalla vita e vuole in qualche modo restituire alla comunità la fortuna che ha avuto; quello sempre impegnato nel volontariato che, al venir meno delle energie, ci mette risorse economiche perché altri possano continuare.

“Per il non profit è oggi una scelta quasi obbligata quella di diversificare le proprie fonti di finanziamento”, spiega Giovanni Bridi, responsabile amministrativo della cooperativa Mandacarù. “Gli esperti di fundraising (raccolta fondi, ndr) ci dicono che realtà come la nostra, molto radicata nel territorio, hanno ottime chance di intercettare queste potenziali risorse”. E che risorse: l’unica ricerca economica finora realizzata in questo senso, peraltro datata (quella del prof. Barbetta per la Fondazione Cariplo), ha stimato in circa 105 miliardi di euro il valore economico dei patrimoni potenzialmente oggetto di lasciti ad istituzioni di beneficenza nel periodo 2004-2020 (ipotizzando un numero di 340 mila famiglie senza eredi). Sono cifre che giustificano appieno l’interesse delle organizzazioni del non profit.

Alcune delle principali realtà italiane hanno creato una piattaforma comune – www.testamentosolidale.org – proprio per incrementare la cultura del lascito testamentario. “In Italia sono ancora poche le persone consapevoli dell’importanza di un gesto che può dare molto agli altri senza intaccare il diritto dei propri eredi”, sostengono le organizzazioni che l’hanno promosso. E a conforto portano i dati: fa testamento solo l’8% degli italiani, una percentuale ben lontana da quelle di altri Paesi dove la propensione al testamento arriva anche fino all’80% (Gran Bretagna). Ma il numero degli italiani che scelgono il “lascito solidale” è in crescita.

“Conosciamo la campagna ‘Testamento solidale’ e di quell’esperienza condividiamo l’obiettivo di far conoscere di più la possibilità del testamento e di superare le barriere psicologiche e culturali che ancora frenano”, afferma Bridi, anticipando che Mandacarù sta predisponendo una guida al lascito testamentario per gli oltre 2.400 soci. “Può rappresentare un’opportunità soprattutto per finanziare le nostre attività culturali”. Attività come gli interventi di educazione nelle scuole o il Festival di cinema e cibo “Tutti nello stesso piatto”, che fino alla fine di novembre propone con successo proiezioni al cinema Astra e al Teatro Sanbapolis. Per la Rete, che con iniziative come la “bolletta del cuore eco-solidale” punta a rafforzare quel legame con i donatori che nasce dalla profonda condivisione di valori, “interrogarsi sul tema del lascito testamentario è stato quasi naturale affrontando la questione dell’abitare”, che richiede di ragionare, progettare, agire sui tempi lunghi, spiega il coordinatore Mauro Tommasini. “Alla cooperativa e all’associazione ‘Volontari in rete’, nata nel dicembre dello scorso anno, stiamo valutando l’opportunità di dare vita a una fondazione, proprio per dare la necessaria continuità ai progetti”, dice Tommasini. Si pensa a una fondazione di partecipazione come strumento più adeguato per raccogliere anche eventuali lasciti. “La fondazione di partecipazione vincola a un territorio, agli obiettivi statutari e, soprattutto, a differenza di una fondazione classica, permette di alimentare annualmente le proprie risorse economiche”.

I soldi. La morte. Argomenti difficili, tabù. Le organizzazioni del non profit hanno di fronte una sfida impegnativa. Non si tratta soltanto di far crescere una cultura del lascito testamentario (“Noi preferiamo parlare di cultura del dono”, ribadisce Tommasini) e di promuoverla presso i potenziali donatori così come al proprio interno (le cinque cooperative citate lo faranno attraverso una campagna a favore del dono che si concretizzerà in un “luogo comune”, ancora da definire, per far conoscere le azioni, le iniziative, i progetti per i quali si chiede sostegno economico); occorre anche dimostrare di essere affidabili, trasparenti e capaci di proporre progetti di lungo periodo.

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