Il canto di Cardenal

Al centro dell’opera letteraria del sacerdote e poeta nicaraguense, oggi quasi novantenne, la tenace e perseverante resistenza dei popoli indios

E’ sempre la Mesoamerica, la “terra di mezzo”, il centro della riflessione poetica di Ernesto Cardenal. Quel Centro America del suo amato Nicaragua che da più di 500 anni non ha mai smesso di opporsi alla Conquista con la sua archeologia “di etica, di pietre preziose, di canti”.

Ed è proprio la tenace e perseverante resistenza dei popoli indios oggetto anche di quest’ultimo libro del sacerdote e poeta nicaraguense, oggi quasi novantenne, il passo un po’ acciaccato, ma lo sguardo vivissimo di un ragazzino. “Cantico cosmico”, uscito da poco in italiano con testo spagnolo a fronte (edito da Rayuela Edizioni) si può considerare una summa della produzione poetica di Ernesto Cardenal, monaco trappista, guerrigliero sandinista, Ministro della Cultura di quel tanto vituperato governo, teologo della liberazione e contemplativo.

Sono in tutto 43 cantiche che sembrano quasi voler prendere per mano il lettore (e l’originale castigliano è musicalmente dolcissimo) per condurlo nel cosmo, alle origini della vita, in quel disegno divino che doveva essere di pace e fratellanza e che poi l’avidità e la sete di potere hanno trasformato e scisso, abbruttito e sedotto.

E’ tutta la lunga vita di Ernesto Cardenal che viene in qualche modo scandagliata attraverso il filtro della riflessione poetica, del ricordo e della preghiera. Dagli studi alla conversione alla trappa di quel grande monaco che è stato Thomas Merton, fino all’originale esperienza della comunità religiosa di Solentiname e la partecipazione alla resistenza e alla guerriglia per cacciare il dittatore Somoza. Quello di Cardenal è un verseggiare che a volte può apparire quasi frenetico, ridondante, ripetitivo, a tratti irriverente. In realtà è tipico dell’ambiente e in qualche maniera ne rispecchia il carattere “sociale” composito e specie nelle zone rurali rimasto legato a ritmi atavici e incontaminati. Vi si leggono istanze politiche e sociali ma il filo rosso che amalgama l’insieme delle cantiche è nel suo insieme spiccatamente teologico e contemplativo.

E’, al contempo, un’interrogazione e un’invettiva. Sul mistero della vita e dell’universo e sul perché le condizioni delle donne e degli uomini che abitano la terra siano così diverse e distanti, abissalmente diverse proprio nella pienezza di vita o nella mancanza delle condizioni minime per garantire una vita dignitosa e vivibile. Persino in una poesia come “Oracìon por Marilyn Monroe”, il poeta innalza una preghiera al Signore perché accolga la piccola Merilyn, “la commessa”, che si trovava a vivere in un mondo di squali che alla fine l’hanno divorata. C’è sempre compartecipazione e immedesimazione con il mondo reale dei più esclusi – i guerriglieri uccisi, i corpi straziati dei contadini, i cor pi violati delle donne – nella produzione poetica di Cardenal, da ”Epigramas” a quel libro bellissimo che è “Quetzalcoatl”, il Serpente piumato, simbolo della dignità e fierezza dei popoli originari latinoamericani, che in quell’edizione italiana del 1989 riporta l’introduzione di un altro grande nostro poeta, David M. Turoldo.

Per Cardenal, a differenza di Gabriel Garcia Marquez, scomparso da poco, non c’è bisogno del “realismo magico” per esprimere la realtà; è la realtà stessa che esprime il meglio e il massimo possibile sulla condizione umana, sulla vita concreta dei singoli donne e uomini del nostro tempo. In tal senso, per il poeta nicaraguense, la poesia “è uno strumento di liberazione” a patto che la parola sia “chiara, precisa, libera”. E’ “el Dios de la vida” che fa da contorno a tutto e che per il monaco-poeta si immedesima nelle istanze dei più deboli e dei più innocenti. Questo, Ernesto Cardenal lo sa, ne è convinto fino in fondo e leggendolo risulta essere la sua testimonianza più bella.

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